1989

Diceva qualcuno, su un sito in cui passavo letteralmente le giornate, piuttosto che leggere testi del cazzo che mi portassero al 100 per gli esami di Stato: “Noi dell’89 siamo stati il limbo di una generazione: a metà fra il muro di Berlino e MySpace”.

Ne avremo di cose da raccontare, noi dell’89: cose come il Ciao e Piccoli Brividi, ma anche l’Euro e Facebook. Non per togliere nulla a chi venne prima (e, in misura minore, dopo) di noi. Abbiamo avuto una consapevolezza particolare già dopo aver varcato le soglie del nostro primo giorno di scuola, alle elementari, dal VII governo Andreotti a Tangentopoli. Abbiamo visto Hammamet varcata da ladri che non ridaranno i soldi ai nostri genitori per i prossimi cento anni; vaghi ricordi di due torri che tagliavano il cielo di una splendida, malinconica New York; l’incisione sempiterna di un Tardelli che urlava al mondo e di un Grosso in lacrime dopo un gol. Come Woody Allen. Abbiamo visto nani salire al potere e ricadere per delle zoccolette minorenni (le stesse che ci faremmo durante quelle notti da sbronzi); il lento declino della RAI, che da Pirandello e l’Almanacco passava a tette e culi dati aggratisse come neanche i trans dietro le nuove poste di Cosenza sanno fare.

Non è un post malinconico. Statene certi. Ho cambiato radicalmente la mia visione del mondo, in questi anni, per constatare che nulla cambia in brevi intervalli di tempo (sentite qua, “intervalli di tempo”: come se si parlasse di un esercizio del cazzo dato dal vostro docente di Fisica 1 per lo scritto di febbraio). Mi son reso conto che l’unico punto focalizzante sugli eventi che ci sovrastano è il tempo. Quello che sconquassa la memoria, che divora tutto; come un Crono che per paura di perdere il potere divora i figli. Quello che costruisce statue di bronzo che dureranno in secola seculorum, quelle che tutt’ora nutrono le nostre menti di fervidi viaggiatori nella cronologia altrui. Tanto da farci dire, magari scherzando, ma anche con una certa nota di tristezza: “Eh, se fossi nato prima…”

Noi dell’89 siamo nati quando Mario e Zelda erano già superstar, mentre alle porte del futuro nascevano Battlefield e Fallout. Abbiamo goduto delle opere di Pinter e Osborne, quando già questi erano Nobel o morti da chissà quanto tempo. Prima o poi qualcuno di noi avrà detto “Il Nobel della Letteratura non ha senso da quando Borges è morto”, senza renderci conto che in realtà Borges era già al di là dell’Aleph. Abbiamo criticato Mussolini, Cossiga, Andreotti e Berlusconi sempre dopo le loro disfatte ai danni dei nostri genitori, nonni e bisnonni. Abbiamo visto le impronte sulla Luna a 300.000 chilometri di distanza, e vent’anni luce dopo. Abbiamo anche avuto il coraggio di dire che “I Pink Floyd sono una cazzo di band brit-pop di merda”, quando i Radiohead pubblicavano Kid A e Amnesiac.

Eravamo già vecchi, quando la DDR contava ancora un agente dei Servizi Segreti per abitante; quando l’Islam era una delle tre religioni rivelate e non il nemico con gli ordigni nucleari, tanto cattivo da poterlo utilizzare sugli eroici, protestanti, americani. Eravamo già vecchi quando Gorbachov diede il via al lento progredire del sogno americano; quando Giovanni Paolo II fu graziato dalla Madonna di Lourdes per poter continuare il suo silenzio nei confronti di preti pedofili e campi di concentramento croati. Eravamo vecchi, quando la polvere di due torri e di un edificio pentagonale entrarono nei nostri polmoni, giusto il tempo di farci urlare “Ma che cazzo…?”, per poi ricordarci che la storia non era ancora finita. Siamo già vecchi, ora che il mondo sembra andare a rotoli, aspettando un 21 dicembre che, come i tanti monimenti di Geova ci hanno abituato nel corso degli anni, continua a turbare la nostra tranquillità.

Tra il muro di Berlino e MySpace. Abbiamo vissuto ogni singolo attimo presente e assorbito ogni evento passato come se ci fossimo figurati di essere popolo di un tempo che non aveva mai fine. Non avendone uno nostro. Chi è il vecchio ora?

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Una risposta a 1989

  1. Garrett Jorde scrive:

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